Spesso i videogiochi sanno cogliere i riferimenti dell’attualità e trasformarli in esperienze emozionanti e addirittura divertenti: è quel che accade con That Day We Left (letteralmente, “Quel giorno siamo partiti”), videogame che parla della crisi dei rifugiati e che è prodotto da una casa italiana, quella del team di Innervoid Interactive. Si tratta di un’avventura 3D il cui obiettivo è quello di mettere a disposizione un ritratto affascinante e verosimile della crisi dei rifugiati, non solo dal punto di vista politico, ma anche e soprattutto dal punto di vista umanitario. La “visuale” è quella dei rifugiati stessi, ma va detto che la narrazione è in grado di conservare una neutralità assoluta e un’imparzialità altrettanto evidente.
Una delle caratteristiche più interessanti di That Day We Left è che si fonda su storie vere, che sono state estrapolate da racconti pubblicati su Internet o addirittura ascoltate in prima persona dallo staff che si è occupato del gioco, e che ha avuto modo di parlare con numerosi rifugiati giunti nel nostro Paese. L’essenza del gioco sta nei riferimenti all’attualità, e quindi non ci si deve attendere una grafica accurata (i volti delle persone sono volutamente anonimi, privi di bocca, naso e occhi) né bisogna aspettarsi avventure emozionanti. Così come accaduto per la produzione precedente di Innervoid, e cioè ICY, il videogame si concentra in modo particolare sulle scelte compiute dai giocatori: un mix di survival game e di avventure grafiche che ha il pregio di far riflettere.
Non è la prima volta, ovviamente, che un videogioco si lascia ispirare dalle problematiche sociali e politiche che caratterizzano il mondo contemporaneo: due esempi non troppo lontani nel tempo possono essere individuati in RIOT, un altro gioco prodotto in Italia, e soprattutto in This War Of Mine, che ha avuto il merito di far conoscere la guerra adottando il punto di vista dei civili e che anche per questo motivo ha ottenuto un successo interessante a livello internazionale. Insomma, se è vero che anche i bambini giocano e simulano la guerra, quando a farlo sono dei videogame, il rischio è quello di commettere qualche errore o di peccare di superficialità: ma non è questo il caso.